giovedì 30 gennaio 2014

Binario 17

Sono quasi cinque anni che con una media di due volte al mese mi ritrovo al binario 17, da qui partono e arrivano i Frecciarossa che mi portano qualcuno o che mi portano da qualcuno. In tutti questi anni, al binario 17, ho pianto separandomi da quel qualcuno, ho sorriso ritrovando quel qualcuno, molto spesso mi sono ritrovata al binario 17 con un un bagaglio eccessivamente grande, la classica valigia del " non si sa mai " che non abbandona mai noi donne, e guardandola mi sono chiesta se l'avrei potuta piazzare tra i sedili, ho immaginato l'imminente viaggio, ho fantasticato sull'arrivo, su quell'abbraccio tanto atteso ma mai ho pensato ai viaggiatori fermi al binario 17 di non troppi decenni fa. Non me lo sono mai chiesto, fino a qualche giorno fa, al binario 17, in un passato non molto lontano da noi, non c'erano bagagli pesanti, non c'erano progetti a lieto fine, c'erano volti impauriti, bambini confusi che oggi probabilmente, avrei potuto incontrare al binario 17 in attesa dei nipoti, nipoti che a loro non è stato concesso avere perché per loro non c'è stato un treno pronto a riportarli a destinazione, di nuovo al binario 17, alla vita. Già, loro al binario 17 non ci sono mai tornati, perché i treni che aspettavano 70 anni fa al binario 17 non li avrebbero portati ad intraprendere un viaggio di piacere, li avrebbero portati ad Auschwitz. Non ci ho mai pensato, non lo sapevo, non sapevo fosse proprio il binario 17, adesso lo so e al prossimo viaggio molto probabilmente continuerò a pensare alla mia valigia troppo grande ma un pensiero andrà a quei bambini, a quelle donne, a quegli uomini in attesa al binario 17, perché adesso che lo so non posso dimenticare e non possiamo dimenticare.